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Trama con tarma 2/10

E’ sera, davanti a Palazzo Marino uno sparuto gruppo di ebrei milanesi, al termine di una manifestazione in difesa di Israele intona l’ Atikvah, mi unisco al coro anche se sbaglio gli accenti e conosco il significato di una parola su dieci.

… L’hiyot am chofshi b’artzenu  Eretz Tzion v’Yerushalayim, sono contenta di riuscire a cantarla, mi sembra di appartenere a qualcosa che mi somiglia e, improvvisamente dal cuore mi esce un grazie a mia madre, di famiglia cristiana che, alla morte precoce di mio padre, ha voluto che conservare in noi la sua identità ebraica.

Eravamo un matriarcato né carne né pesce. Mia madre, mia sorella, mia nonna, e uno stuolo di cameriere più o meno handicappate, una con una pupilla bianca per un incidente da bambina, l’altra che non voleva dire della sua meningite da piccola. Una casa di donne che non chiudevano la porta per andare in gabinetto. Il lutto atroce della morte di mio padre mai elaborato da mia madre che, ai miei dieci, undici anni mi ha fatto cercare l’ebraismo ed incontrare il libro di Poliakoff e scoprire che di ebrei ne erano morti tanti e non d’infarto come mio padre. La morte mi accompagnava, mi ricordo serate in cui mia madre, nonostante tutto, usciva per giocare a bridge ed io restavo nel salottino bleu con nonna e cameriere e, nella noia, ascoltavo la radio e mi ciucciavo le braccia per sentire l’odore del sangue considerandolo odore di morte.

L’identità confusa, fra seder di Pessach, ospiti dai parenti di mio padre, feste della Comunità in cui ero invitata come “auditrice”, essendo tutte finalizzate a far trovar marito alle mie coetanee ebree, e polemiche fra sardi, in particolare con il fratello di mia madre, impiegato al banco di Napoli in quanto figlio di funzionario che per tutta la vita si è diviso fra la sua moglie e l’amante, mangiava il primo dalla moglie, poi con la scusa di una passeggiatina digestiva svoltava l’angolo e se ne andava a consumare il secondo dall’amante che abitava nella via parallela..

Il giorno prima della mia prima comunione, ricordo che ho confessato a Padre Marcantoni che proprio non potevo e non volevo farla perché ero ebrea. Il frate, molto bravo e simpatico, aveva aiutato mio padre nel 43, nascondendo alcuni suoi beni, mi spiegò che essere ebrei o cristiani era tutta la stessa cosa e che quindi potevo essere ebrea e fare la comunione senza commetter peccato.

Mi sono sposata a 21 anni per scappare dalle donne e dall’idea che mi ero fatta di me, per non sentirmi “troia” come mi aveva detto un figliolo della “Firenze Bene” aggiungendoci anche la specificazione “ebrea” a proposito dell’ultima sigaretta del pacchetto che non gli volevo dare alla fine di una festa.