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Progetto di ricerca Ritornare cittadini.

Le famiglie degli ebrei fiorentini durante e dopo la Shoà.

Una fonte preziosa: le istanze presentate dagli ebrei fiorentini al CTNL a ridosso della liberazione di Firenze conservate presso l’archivio della Comunità ebraica.

Per finanziare il progetto, crowdfunding su BuonaCausa

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La legna da ardere trafugata, così come i quadri e gli oggetti di valore mai più rintracciati, i letti, i materassi di vegetale o di lana, pentole, piatti, lo sgabello rotto, lunghi e dettagliati fino agli stracci per spolverare, gli elenchi di cose puntualmente inventariate con l’assistenza dei solerti addetti del Comune di Firenze, testimoni più o meno passivi della persecuzione e delle ruberie dei tedeschi e dei fascisti. Sono liste su carta intestata con il giglio rosso del Comune dove sono elencate le cose sequestrate agli ebrei fiorentini fra il 43 ed il 44 sotto la direzione dell’Ufficio Affari Ebraici, della Banda Carità, dai tedeschi, della Prefettura, dei Carabinieri, e dai funzionari della Repubblica di Salò. Molti dei mobili vengono concessi in uso alle famiglie a cui sono stati assegnati gli appartamenti, in parte si tratta di sfollati, altri si ritroveranno poi ammucchiati presso il saloncino del Teatro Goldoni e nel magazzino dei Soschino espropriato dai tedeschi. La legna viene portata a casa di Giovanni Martelloni dirigente dell’Ufficio Affari Ebraici. Vari oggetti vengono spartiti con i suoi sodali. Martelloni è citato in 12 schede nelle quali è protagonista di arresti e di appropriazioni di beni degli ebrei. Nell’immediato dopo guerra i suoi complici ex Ufficio Affari Ebraici tenteranno di nascondere ed evitare la restituzione dei beni trafugati. Viene processato ma prosciolto per amnistia così come tutti i suoi collaboratori.

Nelle carte delle istanze al Comitato Toscano di Liberazione Nazionale a cui si sono rivolti per la restituzione delle case e delle cose, 280, compilate già dalla fine agosto 1944, si trovano testimonianze a caldo di quanto è successo. Cartoline da Fossoli in cui si chiede aiuto, denunce di profittatori, racconti di fughe, improvvisazioni di attività economiche che permettessero di sopravvivere senza le tessere annonarie. Parenti che si trovano ad accogliere i figli minori dei deportati, persone che si sono ammalate e che chiedono un soccorso.

Le fughe affrettate, le persone che li hanno denunciati o si sono approfittati della persecuzione, quelle, numerose, che li hanno aiutati, vicini di casa o di negozio, datori di lavoro o colleghi. Sconosciuti che li hanno avvisati di non tornare a casa. Parenti arrestati e deportati, per quanto si sa, prima in un paese vicino a Carpi (Fossoli), poi si pensa in Polonia, di cui ancora si spera nel ritorno.

Ci sono nomi noti della cultura o dell’imprenditoria accanto a quelli di piccoli commercianti, insegnanti, impiegati. Appartamenti ampi con lunghi elenchi di mobili di pregio, e piccoli alloggi muniti di letti, tavolo, fornelli e un armadio a testimonianza della varietà di ceti e culture. Gli ebrei fiorentini abitano in tutta la città, non c’è più il ghetto, sono dispersi ma ben individuati, una preda facile dopo i censimenti del ‘38 e del ‘41 in cui sono tutti schedati.

Le strategie di sopravvivenza consistono nella ospitalità di amici e colleghi non ebrei, affitti di stanze sotto falso nome in città o in campagna approfittando degli sfollamenti, qualche tentativo di raggiungere la Svizzera o il Sud Italia, qualche nascondiglio improvvisato.

Di 550 persone citate nelle istanze 133 risultano deportati, 198 le persone che li hanno aiutati, 5 hanno partecipato alla resistenza, 45 i delatori ed i persecutori, 48 i profittatori che dopo la liberazione si sono rifiutati di restituire gli appartamenti ed i beni ai legittimi proprietari.

Nelle istanze compaiono spesso le cronache delle fughe ed i nomi dei deportati, la Comunità ebraica di Firenze si fece tramite verso il CTLN per la raccolta e l’inoltro delle istanze e colse l’occasione per chiedere le risposte a qualche semplice domanda:

  • Vicissitudini di questi 11 mesi
  • Danni subiti (materiali e morali)
  • Persone di conoscenza o parenti catturati
  • Persone che hanno fatto del bene
  • Persone che hanno fatto del male

59 istanze contengono risposte alle domande.

Il materiale ferma il tempo al 1944, è prodotto a caldo, per un motivo pratico ed immediato, recuperare cose, case e lavoro per riprendere a vivere e ritornare ad essere cittadini. Non è interpretato attraverso le emozioni, non vuole trasmettere memoria. Anni dopo alcuni di loro parleranno, racconteranno la loro storia, ne ricorderanno episodi e nomi, la rivedranno con gli occhi della nuova vita che stanno attraversando, delle relazioni in cui vivono, dei complessi di colpa che spesso li accompagnano per essersi salvati, della vergogna di quello che hanno subito.

È un materiale prezioso che va pubblicato, studiato, confrontato con il periodo storico in cui si colloca: la difficile ricostruzione italiana.

Ma non ci si può fermare a queste carte, ci sono domande che si pongono, la prima è capire cosa ne è stato di queste 280 famiglie, come sono tornate alla vita, con quali cicatrici. È ancora da scrivere la storia degli ebrei dopo la Shoah, ci sono pochi anche ottimi studi, ma c’è un’urgenza, i figli di queste famiglie oggi hanno fra i sessant’anni e gli ottanta, le loro testimonianze devono essere raccolte prima che scompaiano.

Semplificando, come se la sono cavata dopo? Cosa hanno dovuto affrontare per tornare davvero cittadini, cosa hanno vissuto i loro figli?

Un ritorno difficile come Bassani racconta in Una lapide in via Mazzini.

 “Quando, nell’agosto del 1945, Geo Josz ricomparve a Ferrara, unico superstite dei centottantatré membri della Comunità israelitica che i tedeschi avevano deportato in Germania nell’autunno del ’43, e che i più consideravano finiti tutti da un pezzo nelle camere a gas, nessuno in città da principio lo riconobbe.

Veniva da molto lontano, da assai più lontano di quanto non venisse realmente. Tornato quando nessuno più l’aspettava, che cosa voleva, adesso? Per far fronte con la debita calma a un interrogativo del genere, sarebbero bisognati tempi diversi, una diversa città. Sarebbero occorse persone un po’ meno spaventate di quelle tali da cui seguitava a prendere norma la pubblica opinione-media cittadina (c’erano nel numero i soliti avvocati, medici, ingegneri, eccetera, i soliti commercianti, i soliti proprietari di terre: non più di una trentina, a contarli uno per uno…): tutti bravi signori che per esser stati convinti fascisti fino al luglio del ’43, e poi, a partire dal dicembre dello stesso anno, per aver detto in qualche modo di sì alla Repubblica Sociale, da oltre tre mesi non fiutavano che insidie e trabocchetti dovunque. … C’era fra questi ultimi chi si era offerto di presiedere, sciarpa tricolore a tracolla, le pubbliche aste dei beni sequestrati alla Comunità israelitica, inclusi gli arredi, lampadari d’argento e tutto, delle due sovrapposte sinagoghe del Tempio di via Mazzini; e chi, calcando sulla canizie il nero copricapo delle Brigate Nere, aveva svolto opera di giudice in un tribunale straordinario resosi responsabile di varie fucilazioni: cittadini per il resto quasi sempre rispettabili, che prima, magari, non avevano mai dato segno di interessarsi di politica in modo particolare, e anzi, nella maggioranza dei casi, avevano condotto vita prevalentemente ritirata, dedita alla famiglia, alla professione, agli studi…”

Noi vogliamo testimoniare il ritorno alla vita degli ebrei di Firenze, ma per farlo è necessario lavoro, tempo e denaro. Digitalizzare e schedare più di mille immagini, impostare e gestire una raccolta di storie di persone che in parte vivono a Firenze e altre in varie zone non solo in Italia. Abbiamo provato a chiederne alle varie fondazioni, ma non abbiamo trovato accoglienza. Allora ci rivolgiamo a chi vuole che questa storia sia raccontata, che arrivi alle scuole, alla cittadinanza per aggiungere consapevolezza della fondazione della Repubblica Italiana nel suo passaggio dal fascismo ad una piena democrazia. Perché le cicatrici del fascismo possano lentamente guarire.

Perché abbiamo attivato il Crowdfunding

Ci servono due anni di lavoro e finanziati con almeno 30 mila euro. Non pensiamo certo di trovarli tutti con il crowdfunding ma almeno il rimborso delle spese vive ci auspichiamo di raggiungerlo.

Chi vorrà contribuire verrà ringraziato permettendogli l’accesso ad un sito web dove pubblicheremo mensilmente un report sullo stato della ricerca, sull’utilizzo delle donazioni e alcune delle storie che, via via, riusciremo a ricostruire.

L’utilizzo dei fondi raccolti verrà documentato sul sito del progetto.

Sostengono il Crowdfunding

Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea

Comunità Ebraica di Firenze

Chi siamo

Marta Baiardi ha partecipato al progetto di ricerca sulle persecuzioni antiebraiche in Toscana diretto da Enzo Collotti negli anni Duemila, occupandosi in particolare delle deportazioni da Firenze e provincia; ha curato diversi libri di memorie e studiato la memorialistica ebraica e la deportazione femminile. Per l’ISRT ha ideato e curato – e continua a farlo – progetti di formazione per scuole ed associazioni. È attualmente in via di pubblicazione presso le edizioni Viella una sua ricerca sulla memoria epigrafica: “Le Tavole del ricordo. Shoah e guerre del Novecento nelle lapidi ebraiche fiorentine” (1919-2020)

Francesca Cavarocchi, storica fiorentina, attualmente all’Università di Udine, ha collaborato alla ricerca curata anni fa da Enzo Collotti per conto della Regione Toscana sulle persecuzioni antiebraiche nella nostra regione, ha pubblicato con Elena Mazzini La Chiesa fiorentina e gli aiuti agli ebrei (Viella, 2018),

Laura Forti, per anni assessore alla cultura della Comunità Ebraica di Firenze, scrittrice, drammaturga; svolge un’intensa attività di formazione in scuole di teatro e università, a livello nazionale e internazionale. Ha curato scuole di scrittura e ha organizzato eventi culturali di rilievo e di alto livello. Gli ultimi suoi due romanzi, ”L’acrobata e “Forse mio padre” (pubblicati per Giuntina nel 2019 e nel 2021) costituiscono una riflessione pregnante sui temi della memoria e della sua trasmissione.

Elena Mazzini è una storica fiorentina che ha lavorato molto intorno all’antisemitismo, e soprattutto intorno al nodo dei rapporti ebraico-cristiani nell’arco dell’intero Novecento dando vita a ricerche originali, a partire da un volume del 2005 scritto insieme con Luciano Martini (Giorgio La Pira e la vocazione di Israele), fino alla sua partecipazione in tempi recentissimi al progetto della Regione Toscana che indaga sui nuovi razzismi.

Gloria Pescarolo ha partecipato a varie ricerche fra le quali la documentazione per Notte della repubblica di Sergio Zavoli, attualmente collaboratrice del CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), esperta in progettazione, gestione degli archivi, analisi ed informatizzazione dei dati; ha progettato e sviluppato il sito nomidellashoah.it e supportato per nove anni la ricerca sugli aiuti agli ebrei in Italia svolta sotto la direzione di Liliana Picciotto e confluita nel volume Salvarsi   del 2017.

 

Alcuni esempi

Il “talloncino” distribuito dalla Comunità

274 Sacerdoti Clara

La Prefettura, con la collaborazione del Comune di Firenze, ha sequestrato nel 1943 i mobili di Clara Sacerdoti vedova Padoa presso l’abitazione di via luigi Alamanni 33. Alcuni erano stati portati in altra sede e alcune carte e disegni alle Belle Arti.

Bice Todeschini, in quanto parente più prossima, espone la situazione della famiglia Padoa. Per sfuggire alle persecuzioni la famiglia ha abbandonato il suo appartamento di via Luigi Alemanni 33 e ognuno dei membri ha trovato la sua via di fuga. Vittorio e Giorgio si trovano in Svizzera, Mario, avvocato, in Palestina. La madre Clara con sua madre Pia Sacerdoti e sua suocera Fannì Padoa, si sono rifugiate a Careggi dove Clara è stata catturata e portata a Santa Verdiana, poi a Carpi, da allora non se ne ha più notizia (Dal libro della Memoria: deceduta ad Auschwitz il 10/04/1944). Le due anziane si sono trovate sole, abbandonate, sono deperite e il 25 luglio è morta Pia, mentre il 13 settembre è morta Fannì. L’appartamento è stato occupato dai tedeschi e poi concesso ad una famiglia di sfollati. Nell’appartamento vive ancora la anziana cameriera dei Padoa che ne testimonia il pessimo stato a causa della poca cura che ne hanno gli abitanti. Bice Todeschini è riuscita a recuperare i mobili e adesso, nell’interesse dei Padoa, chiede che l’appartamento sia liberato per poterlo affittare

Dati recuperati da fonti esterne

Clara Sacerdoti: http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-6824/sacerdoti-clara.html

Nota dal registro ingressi di Lugano: V. incarto del fratello Giorgio Padoa (1909), con il quale entrò in Svizzera.

Vittorio Padoa, nato a Firenze, celibe. Dopo l’armistizio Vittorio abbandonò Firenze, rifugiandosi in diverse località della Toscana, presso amici o conoscenti. Fino al 30.12.1943 era ad Arezzo, da dove partì la sua fuga in direzione della Svizzera, al fine di salvarsi da arresto ed eccidi che in quel periodo erano in atto nella Penisola a danno degli ebrei. Si recò a Milano, col fratello Giorgio, che lasciò il 31.12 per andare a Domodossola. Con la ferrovia elettrica raggiunse S. Maria Maggiore, da dove a piedi, sulla scorta di alcune indicazioni ricevute da gente del luogo, raggiunsero Spruga, luogo da cui varcarono il confine elvetico, il giorno 2.1.1944.

Oss: nella banca dati di Berna la località dello sconfinamento è Carena.

“V. incarto del fratello Vittorio Padoa (1905), con il quale entrò in Svizzera.

Giorgio Padoa, nato a Firenze, celibe. Dopo l’armistizio Giorgio abbandonò Firenze, rifugiandosi in diverse località della Toscana, presso amici o conoscenti. Fino al 30.12.1943 era ad Arezzo, da dove partì la sua fuga in direzione della Svizzera, al fine di salvarsi da arresto ed eccidi che in quel periodo erano in atto nella Penisola a danno degli ebrei. Si recò a Milano, con il fratello Vittorio, che lasciò il 31.12 per andare a Domodossola. Grazie alla ferrovia elettrica raggiunse S. Maria Maggiore, da dove a piedi, sulla scorta di alcune indicazioni ricevute da gente del luogo, raggiunsero Spruga, luogo da cui varcarono il confine elvetico, il giorno 2.1.1944.

Beni:

– Firenze. Stabile di valore, circa 1 milione di lire; patrimonio liquido di 1 milione; gioielli, arredamenti.

Oss. Nella banca dati la località dello sconfinamento è registrata come Carena. (errore)

 

Vedi anche https://www.bh.org.il/databases/jewish-genealogy/dr-meir-padoa-collection/

 

274 Sacerdoti Clara – Il verbale del sequestro

 


Il verbale della restituzione

 

 

055 De Paz Enzo

Enzo de Paz è sfuggito alle persecuzioni grazie ad una folta rete di amicizie che l’hanno nascosto ed aiutato economicamente. Sua madre, Ida Servi De Paz, malata e anziana è stata deportata, nella documentazione ci sono due cartoline da Fossoli in cui chiede ad Eleonora Orvieto di mandarle dei viveri perché le sue condizioni stanno aggravandosi per via della fame, sa che la trasferiranno in un campo ma non ne immagina l’orrore. Il 16 maggio del 1944 partirà per Auschwitz. Sono stati deportati anche dall’Ospizio israelitico suo nonno Gioacchino Servi e sua zia Elena Calò Servi. Enzo ha alternato periodi nascosto a Firenze dalla signora Maria Bandini con soggiorni a Faenza dove ha venduto la mercanzia datagli da un amico, il tenente Umberto Cavallaro e, successivamente è stato ospitato dai fratelli Bianchi, che gli hanno permesso di sopravvivere. I fratelli Bianchi lo hanno avvisato quando tale Selmi, fascista delle SS (banda Carità), lo ha visto a Firenze e lo stava ricercando. Al suo rientro nell’appartamento di via dei Pepi 46 constata la sparizione di tutto il mobilio e degli effetti personali. Chiede un aiuto economico e denuncia la sparizione del mobilio alla Commissione Sequestri.

Dati recuperati da fonti esterne

Gioacchino Servi: http://www.nomidellashoah.it/1scheda.asp?nome=Gioacchino&cognome=Servi&id=7273

Elena Calò Servi: http://www.nomidellashoah.it/1scheda.asp?nome=Elena&cognome=Cal%F2&id=1104

Ida Servi De Paz: http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-7274/servi-ida.html

Olesindo Selmi (Salmi): http://wwwkatiadipietrantonio.blogspot.com/2011/06/la-banda-carita.html

https://www.quotidiano.net/file_generali/documenti/PDF/2014/08/speciale-liberazione00000.pdf

Una cartolina da Fossoli