Questo è l’incipit di un lungo racconto che mi accompagna, ogni tanto aggiungo qualcosa, poi lo dimentico per mesi e alla fine lo riprendo.
Un giorno dopo l’altro
Mi alzo dopo aver fatto squillare la sveglia del Blackberry quattro volte, venti minuti di godimento con i piedi che si distendono come due animaletti consapevoli che fra poco dovranno schiacciarsi sotto il peso della gravità del mio corpo obeso.
Mi alzo, faccio colazione con il buon pane che ho fatto ieri e metto sul t avolo qualche biscottino per i due gatti miagolanti.
Faccio i miei bisogni con serenità leggendo il giornale di ieri. Gli ultimi minuti prima di affrontare la giornata. Dal giardino rumori di furgoni che fanno manovra, danneggiando come al solito le mie piante. L’ennesimo appartamento che viene ristrutturato in questa casa che era popolare e che adesso viene conquistata dalla borghesia radical chic attratta dalla struttura a basilica e dal fascino del giardino che ho sistemato io gratis in questi trent’anni. Anch’io me ne devo andare, più in periferia, le spese qui, con la dittatura dei soldi sono divenute insostenibili e l’ipocrisia delle cene “comunitarie”, del “condominio solidale” mi è troppo fastidiosa.
Mi vesto, faccio un giretto in giardino, rassetto e mi metto a lavorare. Sto facendo un sito web in cui compaiono i dati ed i volti dei 9000 ebrei italiani travolti dalla Shoah: Clicco a caso su un nome.
Michelangel Boehm, figlio di Benedetto Boehm e Luigia Polacco è nato in Italia a Treviso il 25 dicembre 1867. Coniugato con Margherita Luzzatto .
Arrestato a Tirano in provincia di Sondrio.
Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz.
Non è sopravvissuto alla Shoah.
Di lui c’è anche la foto con sua moglie anche lei deportata. Ricarico la stessa pagina 20, 30 volte, via via che correggo piccoli errori. Nella mia testa alternativamente Michelangelo Boem, è una persona di cui cerco d’immaginare l’esperienza terribile, il suo viso austero e signorile in cui provo ad immedesimarmi, oppure una foto troppo larga che necessita di costruire una impaginazione compatibile.
Mi sento un po’ come un chirurgo quando di una persona considera solo l’organo da trattare. Vorrei essere come un chirurgo. Come quelli che giocavano a bridge con mia madre, ubriachi alla 2 di notte per affrontare il giorno dopo la sterilizzata macelleria senza perdere il paziente.
Ma esagero, questo lavoro non è eroico, e c’è sempre il trapezietto rosso sulla sinistra che da tono alle foto sbiadite.
Faccio un giretto in giardino per ritrovare la concentrazione.
Mi chiamo al telefono con Carla amica e partner di lavoro, ci scambiamo consolazione sulle reciproche vicende familiari.
Lavoro ancora accompagnata ad libitum dalla frase “Non è sopravvissuto alla Shoah”.
Rispondo al telefono ad Elisa, una mia amica interessata a comprare la casa e con gelida cortesia ignoro il tono funebre con cui cerca di farmi calare il prezzo. Sa bene che vendo per disperazione, ma passerebbe sul mio cadavere pur di risparmiare i soldi che le servono per mettere il parquet dove adesso ci sono le mie adorate piastrelle di graniglia.
Carla ha un trojan nel PC, chiacchieriamo un po’ al telefono mentre dalla Croazia o giù di lì una educata e gentile Svetlana Vattelapesca ha preso il controllo del suo desktop per cancellare nel file Host migliaia di autorizzazioni a vedere siti porno. Un po’ turbata la mia amica, mentre prova a spiegare a Svetlana che no, non li ha messi lei!
Mangio in piedi in cucina insalata di riso e ritagli di salmone mentre Benedetta Parodi vezzosamente prepara ricette improbabili.
Fa caldo e mi piace. Oscar, il mio gatto è steso in mezzo alla poca corrente d’aria, il suo nemico di cortile, Jasar, un enorme e feroce gatto rosso dei miei vicini spero riposi anche lui, a settembre, non potendo azzannare Oscar perché gli impedivo di entrare a casa mia spingendolo con la scopa, mi ha dato un morso ad una caviglia che mi ha immobilizzato per 45 giorni. La loro assicurazione me ne ha riconosciuto meno della metà, e sembra mi voglia finalmente pagare. Almeno pago il dentista delle mie nipoti e sarebbe buona cosa che mi vergogno per il ritardo.