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The time goes by

Nove anni fa scrivevo:

Voglio scrivere del tempo, oggi che ,a sessantaquattro anni percepisco il consumarsi del mio tempo.

E’ il tempo o cosa che deteriora la materia, che a velocità incontrollabile segna il mio corpo?

E gli occhi, il mio punto di forza, apparentemente uguali, vivi ed intelligenti …

Gli stessi occhi di mia madre che in preda alla demenza senile luccicavano di intelligenza ormai del tutto separati dal pensiero.

Voglio dominare il tempo perché seduta sul divano vedo i miei piedi appoggiati al panchetto e provo a concepirli freddi e assenti come quelli di mamma quando li ho lavati attraverso il lenzuolo.

Voglio accettare il tempo il mio invecchiare e la mia morte, ma voglio capire cos’è!

Ci provo con la fisica, con la teoria della relatività, il tempo come un inverso dello spazio e penso di correre così lontano e veloce da fermarlo o almeno farlo scorrere come voglio io.

Non posso più consolarmi delle esperienze dolorose o spiacevoli pensando che tout passe, perché adesso so che insieme a quelle esperienze passo anch’io!

Adesso percepisco la limitazione del mio tempo.

Non c’è altra dimensione in cui la percezione è così soggettiva.

Le tre dimensioni dello spazio forse lo sono meno, abbiamo mezzi per dominarle, auto, aerei, telefoni.

Sensi per recepirle occhi orecchi e tatto.

La quarta dimensione non ha sensi è impalpabile, invisibile inaudibile.

La mente la percepisce confusamente, il corpo la subisce senza percepirla.

Il tempo è un vettore? Secondo la teoria della relatività si.

Ma se non lo fosse?

Se si componesse di attimi, di parcelle finite compresenti e coeve?

E se in una particella io  fossi nel ’68 in Piazza San Marco a Firenze assieme ai compagni a inventare un modo di passare la serata. E quella io – lei esistesse in vari mondi o tempi, senza cambiare, senza che mai si decidesse poi come passare quella serata.

Laura c’è già, ha due anni, è a casa di mia madre e dorme, io sono piena di vita e molto incosciente, ho appena lasciato mio marito e vivo un amore intenso con un ragazzo un po’ più giovane di me e molto impegnato. Mamma non ha l’Alzheimer, si occupa faticosamente di mandare avanti il negozio e mi ha ripreso in casa con prole.

Io vivo la mia giovinezza come un’adolescenza tardiva dove finalmente si può buttarsi senza farsi male.

Me ne farò di male, ma dopo, negli anni di Milano.

In quell’attimo sono una ragazza in minigonna, felice di affascinare gli operai del Pignone dove vado a dare volantini con Potere Operaio.

Il ragazzo impegnato mi legge Mao dopo l’amore, io mi addormento, ma all’Università do esami sulla pedagogia cinese a non finire convinta del grande significato politico del maoismo. Non è ancora stato scritto Cigni selvatici.

E’ uno dei periodi, brevi, in cui sono magra e ne gioisco.