Rosa, come il cucchiaio controluce di plastica azzurra. Lo guardavo beata e lo leccavo intrigata dal suo sapore di plastica del tutto nuovo nella mia esperienza. Disgustoso e piacevole insieme, metallico e chimico.
Un Natale al BTP primo magazzino a Firenze, tanti banchi di cose a buon prezzo.
E mia nonna e le cameriere che si ingegnavano a spiegarmi cosa era una buona azione, regalare ai poveri uno dei miei giocattoli a Natale.
Volli regalare il più bello ma non quel cucchiaio che per me era stupendo.
Mio padre e mia madre risero di tutta quella generosità ipocrita.
Rosa come la seggiolina di legno laccata di fresco nel negozio del falegname in borgo San Lorenzo dove mi sono seduta a tre anni. Poi, quando mi sono rialzata la sensazione di essermi imbrattata, ancora piacevole. Doloroso poi lo sfregamento di spazzola e trielina sdraiata a pancia in giù sul banco del negozio, mia madre e una commessa, forse la Marisa?, che arrabbiate mi ripulivano.
Nero e luccicante il pezzetto di trina con le paillettes che usavo per giocare, dono della Marianna, la signorina di cui non conosco i rapporti di parentela, forse un amica di mia nonna, che andavamo a trovare all’ospizio israelitico sul viale.
Rosa carne e grigio il sapore delle mie braccia succhiate rannicchiata nella poltrona per sentire il sapore di morte l’anno dopo o l’anno stesso della morte di mio padre e leggendo il libro di Poliakov sullo sterminio degli ebrei.
Verde spento la poltrona di camera nostra mentre mia nonna mi spiega che mio padre è morto e io lo so già e sono sollevata che lo so già e che le sue parole non potranno farmi più male.
Il Procaccia che veniva la domenica a chiedere qualcosa, cibo o vestiti smessi.
Il ghiaccio che l’estate veniva portato su con il montacarichi e che odorava di ammoniaca
Il lavandaio che aveva il carro con i cavalli che ritirava le lenzuola e la biancheria e che la restituiva pulita
La signora sarda con un occhio con la pupilla bianca perché da piccola suo fratello le aveva conficcato una spina di carciofo che veniva a accompagnare mia nonna o a fare qualche pulizia
Olinto, il portiere di via La Marmora 21, che ci raccontava le novelle toscane quando ci veniva a prendere a scuola e io le sognavo la notte, principi e fantasmi che strappavano brandelli di cuore e fegato.
La portineria buia e odorosa di cibo con la prima moglie di Olinto, la Pierina con i grandi seni esposti che mi sembravano un sedere.
Rosso come Picci Puci il gatto mefitico delle signorine Amaldi che ci spruzzò l’albero di Natale.
La casa delle signorine Amaldi piena di bei mobili e io che per la prima volta riesco a pronunziare la erre. Il dispiacere di riuscirci visto che papà non la sapeva pronunziare.
La penna biro, meraviglia che non si ricarica ma che spande inchiostro oleoso sulle mie dita.
Rossa come l’Arì la cameriera dai capelli rossi di cui mia sorella si era innamorata e che chiamava mamma.
Verde come il sangue nei miei incubi, verde brillante e pertanto orribile.
Plastica. L’odore oleoso di plastica della sorpresa che impregnava l’uovo di Pasqua ma lo mangiai lo stesso, a puntate, timorosa e vogliosa di avvelenarmi.