Un botto, il nulla, e mi risveglio fuori dal tempo e dallo spazio sotto lo sguardo di un infermiera in un ospedale di Torino. La convalescenza è come una nascita, gli affetti, i ricordi, le opinioni, sono evanescenti, la biologia, il corpo con i suoi dolori e bisogni emerge e stravolge il tutto. Scopro a ventotto anni il contratto di vita e morte che ho firmato mio malgrado venendo al mondo. Non so più chi sono quindi voglio una famiglia, mi sposo con Vanni, non è il principe azzurro, ma il contratto implica anche di saper prendere ciò che ti è offerto.
Abbiamo due figli, Sofia nasce subito dopo il matrimonio, una bambina inquieta, bruna, alta e un po’ rotonda che mi somiglia, Alex lo incontriamo che ha già una decina d’anni e, in una vicenda di cui ancor oggi non so dare conto a me stessa, lo adottiamo, lui il ribelle dagli occhi azzurri, tormento e orgoglio della mia vita, mi illudo: “almeno qualcosa ho fatto, lascerò un segno positivo, ho salvato una persona”, ma non sarà così.
Viviamo abbastanza bene, io insegno, mio marito lavora in una multinazionale farmaceutica, mi tace pietosamente tutti quegli aspetti del suo lavoro che confliggono con le mie convinzioni etiche e politiche. Venti anni dopo, una mia collega deve andare a Torino per un’analisi al Centro Tumori che fanno solo là. Mi offro di accompagnarla. Mi trovo fra piccoli distrutti dal cancro e dalla chemioterapia, fra mamme con il sorriso congelato sul viso con cui cercano di rassicurare quelle creaturine grigie e senza capelli. Una bimba urla di dolore ma nessuno si scompone.]Lucia, la mia collega, mi presenta al primario, quando sente il mio cognome fa una faccia strana, come se mi conoscesse. Gliene chiedo conto, è imbarazzato e reticente. Ma a me rimane come un rovello, dove e come sono stata registrata nella memoria di quel signore? Risalgo al mio ricovero di vent’anni prima. A casa la sera ho la febbre (continua)..